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Mangiare: Libertà o Schiavitù?
L'atto di mangiare è vissuto da molti di noi come qualcosa di naturale, utile al nutrimento del nostro corpo, ma anche come momento di svago, attività sociale, per fare gruppo, per passare una serata tra amici, ridiamo e scherziamo davanti al cibo e sul cibo; specialmente noi italiani, amanti della buona cucina e del gusto ne abbiamo fatto, della cucina, una tradizione. Ma per molti il cibo diventa una prigione, un insieme di gesti quasi incontrollabili che sanno di pena e sofferenza. Il mangiare per molti diventa un tormento, una punizione (caso2, caso3).
Molto spesso e con naturalezza si parla di diete, di prova costume, di forme e siluette; con normalità guardiamo schermi che ci propongono bellissimi corpi in mostra che ostentano i canoni di bellezza; dall'altra parte dello schermo uomini e donne che commentano, che giudicano che in qualche modo criticano questi corpi, ma più distanti, quasi in un angolo altrettanti uomini e donne guardano, e più vicini, soffrono per quei corpi per loro così bramiti e altrettanto inarrivabili (caso1, caso2, caso3).
Così il cibo diviene il primo indagato del caso; il corpo viene sottoposto a gravissimi strazi, fatti di diete incontrollate, digiuni e dolorose abbuffate; diviene luogo di sofferenza, una prigione dalla quale non si può (caso2, caso3) uscire e dalla quale non si vuole uscire (caso1).
In alcuni casi non si mangia per il semplice gusto di farlo, ma per trovare conforto in momenti di depressione causati da alterazioni improvvise dell’umore, stati di ansia, stress.
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